
Delle quattro città imperiali del Marocco, Fez el-Bali o Fes el-Bali è la più antica (le altre sono Meknes, Marrakech e Rabat). Fondata nel 789, ha svolto il ruolo di capitale del Marocco nel corso dei secoli, raggiungendo il suo massimo splendore sotto la dinastia dei Merinidi tra il XIII e il XV secolo e anche se dal 1912 ad oggi la capitale è Rabat, questa città rappresenta il centro spirituale e culturale del paese. Con i suoi 120 quartieri, 300 moschee e quasi 100.000 abitanti, questo è il maggiore centro medievale abitato del mondo islamico oltre che la più grande zona pedonale ed è patrimonio dell’Unesco. Bab Boujloud (Porta Blu), che si apre ad ovest su una spianata è l’accesso più conosciuto della Medina di Fès e permette di accedere all’infinito mercato della città vecchia. Da qui partono le due strade che scendono nel cuore della Medina e sono le più frequentate sia perché vicine a sbocchi di uscita sia per il gran numero di negozi. Si tratta di Talaa Kebira (Grande salita) sulla sinistra e Talaa Seghira (Piccolo salita) sulla destra.
Frammenti di diario
Verso mezzanotte, giunto con mio figlio all’aeroporto di Fès-Saïss prendiamo un taxi che in una ventina di minuti, attraversando la Ville Nouvelle, ci porta fino ad una delle porte di ingresso di Fez el-Bali. Qui ci attende un’altra persona che ci deve condurre a piedi al riad prenotato che si trova più o meno al centro della Medina. A Fez le macchine non possono entrare, del resto sarebbe impossibile perché quasi tutti i vicoli hanno una ampiezza di un metro, un metro e mezzo. Cominciamo ad addentrarci nella città vecchia. Stradine strette, vicoli ciechi, pavimenti sconnessi, brevi salite e discese, porte vecchie e robuste tra mura spesse. Le luci sono sufficienti per vedere gli scalini dei saliscendi delle viuzze e intravvedere qua e là le sagome delle poche persone che stazionano mentre i gatti se ne stanno immobili e senza paura. La guida che ci hanno mandato però è agile; si vede bene che questo è il suo ambiente naturale e tenere il suo passo guardando a terra implica un certo sforzo. Del resto, visto l’orario e il nostro ritardo di due ore, anche lui avrà desiderio di andarsene a casa.
È consigliabile per chi vuole fermarsi qualche giorno a Fez el Bali che prenoti in uno di questi riad. Per chi vuole vivere questo mondo senza offendere lo spirito è preferibile soggiornare in una di queste abitazioni tradizionali a diretto contatto con gli abitanti del posto.
Arrivati

Anche se tardi, il padrone di casa ci aspetta per darci la cena. Fatto quattro chiacchiere, stanchi ce ne andiamo ai piani di sopra, nella camera con bagno che ci è stata riservata. Nel salire constato, ma nei giorni successivi ne avrò la riprova anche altrove, che le scale anguste e ripide, non sono più larghe di una cinquantina di centimetri. Anche se decorati, i gradini sono stretti e alti. Non ci sono corrimano per cui gli occhi puntano al gradino di fronte e in caso di incertezza anche una mano. La camera è discretamente ampia, sobria e pulita con tende e tappetini di gusto locale. Il bagno è spartano ma ha ciò che serve. Anche se siamo in novembre, nei giorni successivi constateremo che di giorno le temperature toccano i 27 e anche i 29 gradi con una discreta umidità, ma di notte c’è una notevole escursione termica. Dopo qualche ora di sonno, esattamente alle 6 e 19 vengo svegliato da una voce che invade la stanza. È la preghiera del mattino, un richiamo cantilenante e prolungato che si diffonde nei vicoli della città, penetra nei muri e ricorda ai fedeli che non sono soli, c’è un Dio che li giudica ma anche li protegge. Mi renderò conto che in qualsiasi zona, quartiere, locale, lei puntuale arriva. Del resto con 300 moschee e tanto di altoparlanti non è cosa difficile.
Guida si, guida no

La maggior parte di persone consiglia di muoversi in questa città con una guida. Il suggerimento è per una maggior sicurezza personale, ma soprattutto perché la Medina con i suoi 9000 vicoli è un labirinto con la medesima struttura che aveva 1000 anni fa. In effetti, al nostro arrivo mentre la percorrevo di notte mi venivano in mente le parole di Jorge Luis Borges che avevo letto in un racconto: “…comandò di costruire un labirinto tanto involuto e arduo che gli uomini prudenti non si avventuravano a entrarvi…”. Ma ora, con un po’ di tecnologia, decidiamo di affrontare la conoscenza di questo luogo senza avvalerci di una guida. Cambiare idea è sempre possibile e trovarne una rapidamente altrettanto. E fin dall’inizio mettiamo in pratica alcuni accorgimenti e considerazioni.
Come spostarsi nei vicoli del labirinto
La prima cosa da tenere conto è che per molte zone della città quando la stradina scende si va verso il centro, mentre se è in salita si tende a spostarsi verso le porte che ovviamente sono vicine ai vari suq, permettendo un ingresso più facile a chi fa gli acquisti provenendo dall’esterno delle mura. Dopo qualche tentativo capiamo anche che le viuzze che hanno il nome-strada in arabo e francese e sono di forma esagonale sono vie chiuse, quindi è inutile entrarci. Se invece il nome strada è quadrato, sicuramente sboccherà in un altro vicolo. Non è che tutti i cul de sac hanno questa indicazione, ma molti si. Qui internet funziona molto a tratti e lentamente, perciò è opportuno scaricarsi prima la mappa della città. Per l’osservazione della cartina, la bussola è molto utile e altrettanto il GPS che a tratti funziona. Essendo le vie molto vicine è naturale che dia i nomi delle stradine imprecisi, ma questo non è essenziale perché l’importante è ricavare la direzione e seguirla. Qua e là ci sono indicazioni delle piazze. Comunque, la regola più importante è quella che prevede che, quando ci si perde, si debba tornare sui propri passi e riprovare da soli. Qui, infatti, non è come in Italia che nell’ultimo decennio si è presa l’abitudine che anche le persone che si perdono in un parco pubblico, alla prima sensazione di smarrimento hanno bisogno dell’elicottero del Soccorso Alpino. No, qui non funziona così. Appena chiedi indicazioni, uno si offrirà di accompagnarti gratuitamente (non necessariamente dove vuoi tu) per poi chiederti dei soldi. Il fatto che da queste parti le persone cerchino di monetizzare ogni situazione, non deve far credere che questa gente sia sgarbata, sono gentili e riescono a trasmettere calore umano.

Le strette strade della città vecchia possono creare confusione, con venditori di frutta e verdura, carretti trainati da asini, bancarelle di ogni tipo e venditori che richiamano l’attenzione del passante, mentre bambini in ciabatte e la maglietta del Barça trasformano le piazzette in campi di calcio. Considerando le magliette e l’oggettistica pare proprio che il Barcellona sia la squadra di calcio più gettonata tra i giovani. Capita frequentemente che la gente del posto sia curiosa di conoscere da che zona dell’Italia si provenga e ho notato che Milano non ha un grande appeal. Per quanto poco significativa possa essere la mia statistica, ho osservato che la città più stimata è Bergamo, vuoi per un sogno, un ricordo o una nostalgia. Lusinga che la città del Colleoni sia così apprezzata e, in uno slancio emotivo, li invito a tornare.
Artigiani da sempre
Girare per i viottoli, soprattutto quelli non marginali alla città, tra le porte solide di legno e le abitazioni con scarse finestre esterne ti fa tornare ad un mondo quieto, rallentato tra gatti magri che sono sempre lì a dormire, artigiani che lavorano in vecchi laboratori che per la maggior parte hanno una ampiezza di 15 metri quadrati. Qui l’artigianato è molto sviluppato, da sempre. Nei secoli non hanno perso l’abitudine di fare le cose bene e belle. Si tratti di ceramica, monili, tappeti o legno aggiungono qualcosa di nuovo al Creato. Hanno una pazienza inesauribile e la loro cultura non è di tipo dottrinale. Hanno una infinita conoscenza pratica che è utile alla vita. Mentre vaghiamo nel labirinto ci fermiamo a osservare un artigiano che lavora il legno. Sicuro che non cercherà di vendermi nulla viste le dimensioni dei suoi prodotti, mi affaccio alla porta aperta. Lui mi invita dentro e mi mostra porte intarsiate, lavorate centimetro per centimetro con sbalzi, decorazioni. Sono molto simili a quelle del riad dove alloggiamo, l’unica differenza è che quelle sono sovrastate dall’usura e dalla patina del tempo. Salutato questo miniaturista delle grandi porte di legno, mi è venuta voglia di andare in piazza Al-Najjarine a vedere Musée Nejjarine des Arts et Metiers du bois. Passiamo davanti alla fontana Nejjarine del XIV secolo costruita in maioliche e con una tettoia in legno. Proprio alla sinistra c’è l’ingresso al museo (costo venti dirham, 2 euro). Questo è un funduq dove c’è una pregiata collezione di oggetti in legno: cassapanche, porte, strumenti musicali antichi etc. Il museo è tenuto molto bene e all’ultimo piano c’è l’accesso ad una ampia terrazza. Da qui si ha una vista sull’intera città: la Moschea Qarawiyyin, le concerie di pelle e l’occhio raggiunge le colline a ovest dove ci sono le tombe dei re Merinidi.
La Moschea e l’Università più antiche al mondo, al-Qarawiyyin
Andando alla Moschea di Qarawiyyin, che ormai è un blocco unico con l’Università si è continuamente avvicinati da persone che si affiancano e propongono di accompagnarci da qualche parte, chi ad un ristorante, chi al mercato, chi da un parente che produce oggetti. È una costante qui, ma dopo qualche ora ci si abitua. La soluzione migliore è quella di non rispondere, andare per la propria strada senza reazioni. Dopo un poco si stancheranno. Arrivati alla Moschea, dove c’è una calca di turisti, scattiamo qualche foto di rito dal portone principale. L’interno, visto dall’ingresso, promette bene, ma non è possibile entrare. A Fes, le Moschee sono interdette a chi non è di religione islamica. Cerchiamo l’ingresso dell’Università girando attorno all’isolato, ma non lo troviamo. Vado allora nei bagni della moschea, dove i fedeli, tra l’altro, fanno le abluzioni prima di entrare. Qui c’è un’ampia sala con un’enorme vasca in mezzo e in fondo le toilette. Prima di uscire dal gabinetto cerco una cordicella, un pulsante per tirare l’acqua e detergere la turca, ma non si trova. Strano, perché pur nella sua semplicità, il bagno è ben pulito. Comunque, rientro nell’ampia sala e noto che a fianco della enorme vasca centrale ci sono dei pratici secchielli e mi adeguo. Il custode che mi osservava sorride soddisfatto, mentre penso che in questa città far ballare l’occhio, come si dice, è una condizione imprescindibile per una permanenza serena. Mi fermo a parlare con lui e chiedo dove sia l’ingresso all’Università. “La prima via a destra e il primo portone sempre a destra” – replica. Salutiamo con un arrivederci e ce ne andiamo. Percorsi una cinquantina di metri, giunti quasi all’incrocio, da dietro sopraggiunge il custode che avevo appena salutato e mi invita a dire una parola in arabo (che ora non ricordo). Mi spiega che è “arrivederci”, io ci provo, mi sforzo, ma pare che la mia dizione non sia perfetta. Dopo 5 o 6 tentativi, passo l’esame e lui è soddisfatto e se ne va contento. Arrivato davanti alla porta di ingresso indicata, mi rendo conto perché, pur avendo individuato il luogo non riuscissi a trovare l’ingresso. L’entrata è talmente semplice rispetto alle aspettative che sfugge alla vista. Lo dicevo io, che da queste parti occorre fare ballare l’occhio.
Ora mi lascio andare a un breve e semplice momento culturale. L’Università al-Qarawiyyin, chiamata anche Al-Karaouine è la più antica al mondo. Costruita nel 859 come Moschea, biblioteca e classi di insegnamento per accogliere studenti provenienti dal mondo musulmano è sorta quindi come scuola religiosa, alla quale furono affiancate in pochi anni molte altre materie, tra le quali l’astronomia, matematica, grammatica, chimica etc. Questo aumento degli allievi fece sì che in pochi decenni furono create diverse madrase o maderse (scuole) ad accogliere gli studenti.
Comunque, se gli ingressi a questa Università sono semplici, non altrettanto sono gli interni. Pagato il biglietto (i canonici 20 dirham), fin dall’ingresso nel piccolo cortile pavimentato in piastrelle decorate ci si rende conto della maestosità di questo edificio. Muri bianchi intervallati da archi moreschi e decorazioni lignee finemente intagliate. Si può accedere ai piani superiori (qui le scale hanno ampiezza normale) dove si possono vedere le camerette degli studenti. Tutto il complesso è elegante e tenuto in maniera esemplare. L’unica differenza che noto nelle camerette degli studenti è che generalmente il catenaccio per chiudere l’uscio è posto all’interno mentre quelle dell’ultimo piano hanno il catenaccio di fuori. Si insinua in me il sospetto che è più opportuno chiamare alloggi quelli al piano sotto, mentre in alto il termine più adatto è cella. Va beh…
Al mattino, a fare colazione nel riad, di fianco a noi c’è una turista inglese, giunta in treno da Marrakech. Sta aspettando la guida per visitare la città, tutto in una giornata, poi ripartirà. Rifletto sul fatto che una donna sola giustamente possa prendere la guida, sia per districarsi rapidamente nel labirinto, ma soprattutto perché il rischio di essere importunati è reale. Il costo di una guida in un giorno non è elevato (circa 20 euro), anche se poi tenderanno a portarti in un ristorante o a fare acquisti in negozi coi quali hanno precedenti accordi e dove prenderanno una percentuale. Ma quello che colpisce è la velocità e la quantità di luoghi che propongono in una giornata. Ci si sposta rimbalzando qua e là come una pallina da flipper collezionando immagini e informazioni senza avere il minimo sentore di quale sia lo spirito di questi muri millenari. Tutto questo per dire, che vista l’ampiezza della città e ciò che offre un giorno è troppo poco.
Le concerie
Abbiamo deciso di andare a vedere la zona delle concerie. Il lavoro ed il trattamento della pelle ha reso famoso Fez in tutto il mondo per questo settore. Che ci si sta avvicinando al quartiere, in questo caso, lo può capire anche un cieco. Infatti, non sarà la bussola o le rare intuizioni del GPS, ma l’olfatto a condurci: più si sente puzza, più siamo sulla strada giusta. Intendiamoci, l’odore c’è e non è gradevole, ma è comunque sopportabile. Ho letto di gente che subisce traumi dopo essere passato per queste viuzze, ma credo che sia solo un atteggiamento. In compenso qui i suq sono stracolmi di pelletteria, borsette, cinture, accessori, una situazione da far venire un esaurimento nervoso al marito che accompagna la moglie. Entrare a vedere il lavoro della concia della pelle è semplice. Si passa la porta, si prendono le scale senza prestare troppa attenzione al proprietario e dipendenti vari. Il flusso di persone è elevato e si attaccheranno a qualcun altro. Prima di esporsi a guardare dalla terrazza si afferra un rametto di menta da tenere sotto il naso per attutire l’odore e poi si osserva il lavoro di questi poveri cristi che in equilibrio tra i recipienti contenenti tinture di diversi colori, immergono le pelli. L’odore intenso è dovuto al fatto che la concia delle pelli, qui prevede l’uso in buona quantità di sterco di piccioni e ammoniaca. Mentre osservo mi chiedo se nell’arco di una giornata, preso da stanchezza, qualche dipendente ci finisca dentro in quelle tinozze nauseanti. I prodotti finiti da queste concerie sono sicuramente di ottima fattura, ma quanto campa uno che fa un lavoro del genere?
La Porta Blu
I 300 ettari della Medina sono contornati da mura e per entrare nella città occorre varcare una delle 14 porte. La più conosciuta, fotografata e citata è Bab Boujloud (Porta Blu) che si apre sulla grande spianata oltre le mura e porta alla moschea Al-Karaouine. Varcata la famosa porta, si entra in una bolgia fatta di negozietti che vendono ogni genere di prodotto. Tappeti, articoli in pelle, vestiti tradizionali, oggetti di bigiotteria e in metallo. Si va da calderoni dal diametro di più di un metro lavorati nella piazzetta a una testa di cammello ancora sorridente, mozzata. Oltre la bassa protezione di vetro di un banco si vedono chili e chili di torrone, distribuiti in tutte le dimensioni. Tutt’attorno, alcune appoggiate, altre che svolazzano, ci sono api. Pare quasi, vogliano fare un nido lì, saranno una cinquantina sotto lo sguardo impassibile del mercante. Nel suq i locali sono raramente più larghi di qualche metro e si limitano a 2 o 3 metri di profondità e rispetto ai negozi in Occidente, c’è una straordinaria densità di merci per metro quadrato di spazio commerciale. Oltre alla pelletteria, anche l’offerta dei tappeti e molto elevata. Andando per i vicoli si vedono laboratori artigiani con 2 o 3 persone che producono tappeti in maniera molto tradizionale, del resto lo si comprende subito che l’economia si basa su sistemi arcaici. Come arcaico, per chi viene da fuori, è il sistema di contrattazione per acquistare un prodotto. Lunghe trattative, espressioni stupite, a volte addolorate alla proposta della controparte, un passo avanti e due indietro. Insomma, per comperare qualcosa ci vuole il suo tempo. Mi ero messo a guardare una cintura in pelle, e tra le centinaia ho visto una che mi piaceva. A questo punto è iniziato il balletto con il mercante, il quale dopo un po’ tira fuori l’asso e afferma che me la garantiva per 40 anni, non solo la cintura ma la mia stessa vita, indossandola, sarebbe stata garantita per 4 decenni. Considerando la mia età, di fronte ad una offerta del genere, ho tirato fuori il portafoglio prima che lui ci potesse ripensare. Tra le strette vie di questo mercato pieno di gente e di colori, tra bancarelle, banchi e mercanzie, ogni tanto passa qualcuno con un carrettino carico di fichi maturi o colmo di pane o rami di menta. Grida per chiedere spazio e per non essere investiti si è costretti a saltare sull’ingresso del banco adiacente. Una turista poco avvezza a questi viottoli rustici che, mentre guarda incantata i prodotti esposti, maldestramente calpesta con i sandali sottili lo sterco di mulo che è sparso qua e là mentre un ragazzino le si appiccica e cerca di vendere dei sottobicchieri. Resta comunque da considerare che il venerdì è il giorno della preghiera comunitaria e il mercato ha alcuni negozi chiusi permettendo di muoversi più rapidamente.
Qui, ci sono molti banchi che vendono spezie. La vista cade sui sacchi multicolori, pieni di queste sostanze utili per insaporire i cibi. Ed è proprio il caso di dire che vengono utilizzate abbondantemente. Nei giorni di permanenza qui, ogni cibo che ho mangiato era estremamente speziato e piccante fatta eccezione di un cous cous vegetariano. Qui, come si sa, non si bevono alcolici e la bevanda principale è tè caldo con menta. In genere si tratta del comune tè verde gunpowder con un sapore pungente e fresco esaltato anche dalla menta. Non bevendo vino o birra è l’unico che può fare da dissetante all’intenso sapore piccante che con alcuni cibi lasciano in bocca.
Oltre agli innumerevoli suq ci sono gli ambulanti anche se in numero più limitato. Accovacciati in qualche angolo, perché camminare in mezzo con tutto il loro armamentario sarebbe impossibile, cercano di attirare l’attenzione, puntando soprattutto sui prezzi più bassi rispetto ai suq vicini. Non me la sento di dare un giudizio, ma l’impressione è che si tratti di prodotti d’importazione. Mentre vaghiamo in mezzo ai banchi passa un graduato dell’esercito con un soldato dietro e scorrendo via rapido grida “Polizia, polizia”, ad un ambulante accovacciato con la sua mercanzia su dei gradini. Mi chiedo se lo dica per spaventarlo o sia vero. Intanto questi si risveglia dal torpore e cerca di mettere nelle borse tutta la sua paccottiglia, costituita da centinaia di portafogli, mani di Fatima di svariate dimensioni e ciondolini vari. Trascorsi una decina di minuti, constatiamo che il militare è stato di parola e arriva la polizia, ma l’ambulante, trafelato se ne è già andato.
Tombe Merinidi – Un luogo di memoria, perché le opere degli uomini non siano dimenticate
Questo pare essere un luogo dedicato alla memoria, ma non inteso come un museo dove stazionano cose e ricordi seppur pregevoli, ma morti. Una memoria che ha una continuità nel futuro. E, poiché la memoria può essere fragile e imperfetta ognuno non solo ha conservato ma anche aggiunto la sua arte. Tutti coloro che hanno vissuto in questo labirinto nei mille e passa anni hanno alimentato la memoria. Probabilmente ne aveva sentore il re Merinide che per primo fece erigere sulla collina che guarda Fes il Mausoleo delle tombe. Sarebbe stato il cimitero dei Re, che tutti sudditi avrebbero visto dalla mattina alla sera conservando la memoria del Sovrano, ma anche l’illusione del Sovrano di non essere solo e distante. La sua gente scandiva la giornata di tribolazioni terrene, con i 5 richiami della preghiera, nel 1200 come oggi. E, come natura vuole, con lo scorrere dei secoli, questi monumenti si sono deteriorati ma su due lati ci sono centinaia di tombe bianche dove ora vengono tumulati gli abitanti di Fez.
Com’è la vita fuori da queste mura dalle porte aperte ?
L’intera Fez el Bali dà l’impressione al viaggiatore di una grande comunità molto coesa. Una vasta famiglia che vive in armonia rispettando le regole comuni e aiutandosi vicendevolmente. E, fuori, fuori da queste mura dalle porte aperte come è la vita? Beh, pare proprio che la globalizzazione abbia ormai preso il sopravvento, poco differisce da una qualsiasi città occidentale. Parallelepipedi urbani dormitorio non molto diversi dall’hinterland milanese, casette a schiera con recinzioni basse e cancelli chiusi tutte ordinatamente uguali, pubblicità invadenti hanno preso il posto dei venditori da strada. Cartelloni con foto di panini a 3, 4 anche 5 strati ed espressioni felici a tal punto che viene il dubbio che uno degli strati contenga sostanze psicotrope. Carte di credito che promettono di semplificare la vita, modem dalle connessioni portentose, etc. Insomma, da questo punto di vista, niente di nuovo sotto il sole. L’arteria stradale che contorna la Ville Nouvelle intasata da flussi di automobili che si accorciano ai semafori e poi tornano ad allungarsi ad elastico con vecchie Dacia, Volkswagen golf anni 70 e Fiat Uno che rallentano il percorso di Jeep Toyota e Honda Civic dai clacson strombazzanti. L’aria satura di rumore in un palcoscenico già visto. I centri commerciali propongono gli stessi prodotti che si trovano ovunque. Per fare un esempio banale la spezia Ras el Hanut che a Fez trovi in abbondanza in sacchi, qui è di produzione belga in piccoli contenitori eleganti di vetro. Per carità, non c’è da stupirsi considerando che in Italia, d’estate con un sole che spacca le pietre, sui banchi dei supermercati si vendono pomodori di produzione olandese o polacca. Sarà un caso, ma gli unici episodi di risse tra giovani, li ho visti qui, e non a Fes. Nell’andare verso l’aeroporto mi sono fermato in un Burger King. Anche qui simile ai fast food nostrani, probabilmente molto più tranquillo e pulito. Ho avuto l’impressione che questo fosse dovuto al genere di clientela, più borghese e meno popolare.
Per concludere, tornandomene a casa, lascio questo paese con nostalgia ed il desiderio di tornare, magari a visitare l’altro grande labirinto che c’è da queste parti: il deserto. A Dio piacendo, ovviamente.
