Aprile 30, 2025

La foto raffigurante montagna scavata a Las Medulas

 

Las Médulas, la più importante miniera d’oro dell’Impero Romano, si trova nella comarca di El Bierzo in provincia di Leon. Il suo paesaggio è un esempio perfetto di fusione tra storia e natura ed è considerato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.  Questa zona archeologica è un luogo unico e spettacolare con sentieri tra imponenti querce e castagni che permettono di raggiungere i diversi luoghi dove osservare le caratteristiche cime rossastre.

La Sala Archeologica  

La città di Ponferrada, che dista 28 chilometri è un’ottima base per raggiungere questa località e il percorso è per lo più tra le colline. Una volta giunti un poco prima dell’ufficio archeologico ci sono un paio di radure adibite a parcheggio. In una c’è l’addetto che vende i biglietti per la sosta (4 €), mentre l’altra pare essere libera. Abbassato il finestrino chiediamo all’impiegato, seduto immobile avvolto in una sorta di torpore, che differenza ci sia tra un parking e l’altro e lui per un attimo prende vita e laconico risponde: – Nessuna”. Quindi, si può scegliere tranquillamente, per quel che mi riguarda ho optato per quello libero. Poco più in là si arriva alla Sala Archeologica che fa da centro di assistenza ai visitatori di Las Médulas. Qui danno informazioni per avere una visione completa di quella che era l’organizzazione dello sfruttamento di questo vasto bacino minerario (sistema idraulico, gallerie, lavatoi , resti di canali di evacuazione). Le guide, poi, accompagnano alla visita delle miniere.  Il costo del biglietto è di 5€ (a partire dai 10 anni) e la visita dura circa un paio di ore.

la foto raffigurante paesaggio a Las Medulas

Orari visite

Dal 1° ottobre al 31 marzo:

Lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì e domenica: dalle 10:00 alle 14:00

Sabato: dalle 10:00 alle 13:30 e dalle 15:30 alle 18:00

Martedì: chiuso per riposo.

Dal 1° aprile al 30 settembre:

Dal lunedì alla domenica: dalle 10.00 alle 14:00 e dalle 15:30 alle 19.00

La visita guidata consiste in un cammino circolare di 3 km. Il percorso si snoda all’interno della miniera, ma trattandosi di una miniera a cielo aperto, si tratta di una passeggiata in un labirinto di cime rosse e castagni secolari. Il paesaggio è frutto del modellamento umano, con svuotamenti dei rilievi, picchi ben marcati e colline residue dalle forme taglienti che risaltano per il loro colore rossastro. Un paesaggio sorprendente e insolito. In molti casi ci sono barriere e parapetti che limitano l’accesso in punti pericolosi, restrizioni che impediscono il passaggio tra le grotte e le crepe.

Un po’ di storia

Las Médulas hanno la loro origine nel Miocene, cioè circa sei milioni di anni fa. Per quanto riguarda l’oro di Las Médulas, la sua origine è ancora sconosciuta. Il materiale aureo non si trova in vene o grossi filoni delle rocce, ma nei sedimenti rossi caratteristici di questo luogo, tra un’alluvione di conglomerati di massi, sabbie e argille. La miniera di Las Médulas è larga circa tre chilometri e profonda più di cento metri. L’estrazione mineraria comportò la realizzazione di enormi dissodamenti in un’area di poco più di seicento ettari. Si stima che furono rimossi circa cento milioni di metri cubi di materiale alluvionale con l’utilizzo di 60.000schiavi. Non si hanno certezze sulla quantità di oro estratto, ma si stima che fosse tra le cinque e le sette tonnellate.

La presenza dell’oro era già nota prima dell’invasione romana e questo aveva richiamato le popolazioni della vicina Galizia e delle Asturie. Queste genti praticavano un’estrazione molto artigianale, prelevando, pulendo e vagliando le sabbie e lavandole con una padella. L’oro ricavato veniva utilizzato per creare una bottega orafa relativamente ricca e “esportando” orecchini, girocolli, cerchietti particolarmente elaborati, in Bretagna e nelle isole britanniche.

Nel I secolo d.c. l’interesse dei romani per questo sfruttamento aumentò, probabilmente perché l’imperatore Augusto stabilì l’aureus e il denarius come base del sistema monetario. Las Médulas divenne il più grande sfruttamento dell’oro dell’impero e per custodirlo, intorno all’anno 74d.c., fu istituita a León la Legio VII Gemina. Poiché nella zona di sfruttamento non esisteva un fiume, era necessario far arrivare l’acqua da lontano attraverso canali e immagazzinarla in cisterne. I canali avevano una larghezza da novanta a centocinquanta centimetri, con un’altezza dell’acqua da dieci a venti centimetri e una pendenza che non superava il cinque per cento per chilometro. Il grande apporto di migliaia di metri cubi trasportato dai canali veniva immagazzinato in cisterne che erano state costruite scavando il terreno e formando pendenze con il materiale estratto, che permettevano di aumentarne la capacità. Per controllare la quantità d’acqua che usciva dalle cisterne furono create paratoie e canali secondari. Si tratta del metodo della ruga che Plinio il Vecchio chiama ruina montium, che consisteva nello scavare una rete di pozzi profondi e gallerie senza uscita verso l’esterno nelle zone più alte del monte. Successivamente veniva introdotto un certo volume d’acqua per indebolire il terreno. Quindi, un grande flusso veniva fatto scendere, lacerando e trascinando le rocce, che irrompeva con forza nelle gallerie, comprimendo l’aria e producendo un’enorme quantità di energia che provocava il crollo della montagna.

Plinio il Vecchio lo racconta così: “A opera ultimata, le testate degli archi si aprono e si spaccano e danno segno di rovina. E lo sa solo chi è vigilante in cima alla montagna. Questi, con la voce e percuotendo rumorosamente, ordina agli operai di allontanarsi immediatamente”. I cunicoli spinti a grande profondità erano scavati in profondità nelle montagne al chiarore delle lucerne. I turni di lavoro e quelli di riposo si eguagliavano e per molti mesi gli operai (schiavi e prigionieri politici) non potevano vedere la luce del giorno. Era frequente che all’improvviso tali gallerie crollassero schiacciando gli operai. I romani si servivano anche di salariati che però erano utilizzati per le officine artigianali (fabbri, falegnami…) che erano di appoggio alla miniera. E, mentre contemplo le rovine di queste montagne, viene spontaneo interrogarmi sulla sorte di queste persone che ci hanno lavorato. Sulla loro fatica e sulle schiene spezzate, sulla loro sofferenza e sulla loro infelicità. Sulla frusta che li sorvegliava e fino a fin quando potevano sentire il dolore e la fatica erano vivi.

Rete di canali per trasportare l’acqua

“Rotta, la montagna cade da sola, con un ruggito e un vento così grandi che non può essere concepito dalla mente umana” affermava Plinio. All’improvviso tali gallerie crollavano schiacciando gli operai, e la forza dell’acqua continuava a trascinare la massa che si era staccata. I rifiuti più grandi venivano eliminati prima di entrare nei canali di lavaggio, mentre i materiali più fini venivano incanalati attraverso i canali di evacuazione. I canali di lavaggio venivano scavati in zone pianeggianti e venivano ricoperti ad intervalli da erica che fungeva da filtri in cui si depositava il minerale d’oro, perché il suo elevato peso specifico ne permetteva la separazione. Della rete idraulica sono stati individuati complessivamente 32 canali, 15 sul versante sud, 15 sul versante nord e 2 in mezzo. In totale si è calcolato che il percorso fosse di 600 km. Uno dei canali che portavano acqua aveva una lunghezza di 143 km. La disposizione e la pendenza dei canali per adattarli alle caratteristiche e alle condizioni topografiche del terreno dimostra sotto tutti i punti di vista una grande capacità di gestione delle acque da parte degli ingegneri incaricati della sua progettazione e costruzione.

La cessazione dell’attività di estrazione corrisponde ad una probabile perdita di produttività dovuta ad un impoverimento di massa aurea. Dopo l’abbandono dell’area da parte dei romani databile tra II e III secolo d.c., è rimasto tutto identico. Nel ventesimo secolo, sono stati fatti degli studi per verificare se fosse possibile estrarre ancora oro da quel luogo, ma la quantità aurea per metro cubo era troppo bassa e sarebbe stato antieconomica l’estrazione. Terminata la visita guidata si può girare per queste rovine, ovviamente senza superare le barriere, che delimitano i luoghi pericolosi.

Il vino del Bierzo

Sono le prime ore del pomeriggio e si cerca un ristorante. Alcuni sono a qualche centinaio di metri dalle miniere e, è preferibile, visto il caldo di luglio accomodarsi a mangiare sotto qualche pergolato. Nessun paese di Castilla y Leon che si rispetti può evitare di servirti quello che genericamente viene chiamato DO Bierzo  (DOP) proprio perché qui siamo nella comarca omonima. Questo vino a seconda del colore: tinto, blanco, rosado può prendere diversi nomi, ha comunque in comune la capacità di spegnere l’arsura dei pomeriggi assolati estivi e accompagnare un buon pasto servito sotto un pergolato. Certo, per sentito dire, la ricettività di questi ristoranti è molto maggiore e disponibile nei mesi estivi, un po’ meno nella bassa stagione dove in alcuni locali può comparire il cartello: Abrimos cuando llegamos y cerramos cuando nos vamos” che si potrebbe tradurre: Apriamo quando arriviamo e chiudiamo quando partiamo.

 

Mirador de Orellan

Una volta terminata l’escursione alla Medulas e raggiunta la propria vettura ci si può dirigere al Mirador de Orellán, che dista meno di dieci minuti. Qui, passata la montagna si raggiunge un altro parcheggio pubblico e dopo una breve camminata di cinque minuti si arriva alla cima, da dove si gode una vista spettacolare su Las Médulas e tutto il Bierzo.

 

 

 

 

 

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