
Appena oltre l’Adriatico, tra le pieghe dei Balcani, troviamo il Montenegro, una Nazione di poco più di 600 mila abitanti costituita di recente. Podgorica, con i suoi 190 mila abitanti ne è la capitale. Fino al 1992 si chiamava Titograd, poi dopo la guerra è cambiato il vento e si è deciso di appellarla con un nome meno ingombrante che non dà fastidio a nessuno, “ai piedi di Gorica”, cioè sotto la collina che domina la città.
Il viaggio aereo per raggiungere questa località è breve. Atterriamo nel tranquillo aeroporto della capitale nel primo pomeriggio. Diversamente dalle mie precedenti destinazioni, l’aereo rimane sulla pista senza aprire i portelloni. In compenso lo speaker avverte i passeggeri di non andare tutti davanti sul corridoio perché questo causerebbe un innalzamento del velivolo sulla parte anteriore. Premesso che l’aereo è affollato e non ci si può muovere più di 20 centimetri, la comunicazione ha il benefico effetto di tradurre la nervosa impazienza in ilarità. Me ne sto seduto vicino al finestrino a osservare gli addetti alle scalette che fermi a qualche metro dai portelloni parlano e scherzano affabilmente tra loro. È a questo punto che mi ritorna in mente un detto che avevo sentito tempo fa da un albanese che più o meno diceva: I montenegrini vicino al letto tengono la poltrona”. Del resto, qualche giorno dopo mi rendo conto che qui, la pigrizia non è un tabù, quando acquistando cartoline in un ufficio postale alcune celebrano come virtù questa loro caratteristica.
Aerodromo
Si dice che per raggiungere la capitale, che dista 14 chilometri dall’aeroporto il mezzo più economico sia l’autobus. Poi, informandosi, si viene a conoscenza che di autobus ce ne sono 3 in tutta la giornata e tra l’altro non si conoscono gli orari. L’unica alternativa sembra essere il taxi. Pare proprio che si cerchi di tenere lontano l’idea dei mezzi pubblici per gli spostamenti. Casualmente sento una conversazione di un taxista che accalappia due ragazze uscite dal terminal offrendo con insistenza i suoi servigi. Queste, in inglese spiegano che vorrebbero prendere un mezzo pubblico, ma lui, benevolmente, fa capire che l’unica soluzione è il taxi, prospettando loro una permanenza perpetua in aeroporto. “Ecco” – penso – “queste due finiranno come Tom Hanks nel film The terminal”. Del resto, anche Google maps mette come unica possibilità di spostamento la strada, ma il sito delle ferrovie montenegrine segnala una sosta da queste parti. Le ragazze salgono in taxi, mentre noi fiduciosi cerchiamo la stazione dei treni che per i forestieri è tenuta celata. La stazione Aerodromo o, meglio, la fermata del treno dista circa un chilometro. Spiegazione per chi ne avrà la necessità. Una volta usciti dall’aeroporto si gira a sinistra e si segue la strada a fianco delle siepi e prima del cavalcavia si prende la stradina a sinistra. Poco dopo c’è la stazione. Una fermata piccola e persa, insomma il trionfo del minimalismo. Non ci sono cartelli con arrivi o partenze, ma dopo una ventina di minuti giunge un treno. Saliti, andiamo dal controllore per i biglietti e lui ci chiede 3 euro ciascuno. Mio figlio mostra allora il sito web ufficiale (https://www.zpcg.me/) sul cellulare che indica il prezzo di 1 euro e 20. Lui sorride e quel burlone ci fa capire che stava scherzando. Lì vicino un giovane italiano pare essere in difficoltà a pagare e sostiene di non avere monete adatte. Se ne sta lì come uno sulla sedia mentre gli lavano il pavimento sotto i piedi, mostrando una dissimulata noncuranza fin quando la scopa è passata. Fin da subito ci si rende conto che in questo viaggio comunicare con i locali sarà una impresa ardua perché ad eccezione della zona costiera e dei taxisti, che seppur carenti in matematica, in inglese se la cavano, la gente parla esclusivamente il montenegrino o il serbo.
Podgorica
Podgorica è una cittadina tranquilla situata nel centro del Montenegro e questa la rende un buon punto di partenza per visitare il paese. Per il viaggiatore, comunque sarebbe opportuno che non ci siano aspettative di vedere monumenti magnificenti o mirabilia. Contornata dalle montagne e circondata da un notevole ambiente naturale è attraversata dal fiume Morača e dal suo affluente il Ribnica sul quale si affacciano diversi parchi.Il monumento più famoso è la Torre dell’Orologio (in montenegrino Сат кула) nel quartiere di Stara Varoš (la città vecchia). Alta 19 metri, fu eretta nel XVII secolo dagli ottomani ed è uno dei pochi monumenti che non andarono distrutti nella Seconda guerra mondiale. L’orologio fu aggiunto nel 1890.Il principale edificio religioso della capitale è la Cattedrale della Risurrezione: costruita nel 1993, è una meta molto visitata dai pellegrini e credenti ortodossi. L’edificio riesce a fondere uno stile medievale con il bizantino ed ha notevoli affreschi e mosaici su fondo dorato.Sul piccolo fiume Ribnica, vicino alla confluenza con il fiume Morača c’è il Ponte Vecchio. Il ponte fu costruito durante il periodo della dominazione romana, andato distrutto fu ripristinato nel XVIII secolo d.C. dagli ottomani
Il ponte del Millennio
A proposito di ponti, molto pubblicizzato è il ponte del Millennio. Fu inaugurato nel 2005 nel giorno che ricorda la liberazione dall’occupazione italiana. Lungo 140 metri è considerato una delle maggiori attrazioni turistiche della città. Sentire parlare del ponte del nuovo Millennio mi aveva creato qualche aspettativa di troppo. In effetti si tratta di un ponte ad una campata con un pilone dal quale partono 24 cavi di acciaio. Il nome ed il fatto che era citato nelle guide mi avevano dato un senso di definitiva maestosità che, probabilmente, per insensibilità non sono riuscito a cogliere. Poi, però, considero che in questi nostri tempi c’è il vezzo di attribuire alle cose, ai fatti, agli eventi, definizioni magniloquenti. Si tende ad attribuire alla normalità se non addirittura alla banalità significati di portentosa eccezionalità. Insomma, i superlativi e i paradossi non mancano.
Josip Broz Tito
È quasi sera, e l’afa uniforme che sovrasta la città comincia ad essere spazzata via dal vento, quando mi prendo una pausa su una panchina in un parco poco distante dai fiumi. A qualche metro di distanza c’è la statua di Josip Broz Tito, il capo del governo jugoslavo dal 1948 fino alla morte nel 1980. Trasuda una dignitosa compattezza, la figura di quest’uomo, e penso che debba avere avuto dei grandi meriti nel mantenere unite queste regioni della Jugoslavia per decenni. Più si conosce questa gente più si ha la conferma tangibile di caratteri indipendenti e solidi con un attaccamento al proprio gruppo, al proprio clan che però considerano molto ristretto. Con la sua morte, lentamente ma inesorabilmente è stato facile fare leva sui diversi sensi di appartenenza per portare dissidi e sofferenze.
Ai piedi della statua di Tito qualcuno ha depositato tre rose rosse. Deve averlo fatto da poco, sono ancora fresche. Poi, il vento caldo ne fa volare via una, la allontana di una decina di metri nel parco quasi deserto. A poca distanza arrivano un bambino e una bambina. Avranno 10, 12 anni. Lui vede il fiore, lo raccoglie e lo porge a lei, poi continuano in silenzio per la loro strada. Potrebbe essere una scena quasi romantica. Guardo la statua del Maresciallo ed ho l’impressione che una guancia sia solcata da una lacrima. “No, è troppo” penso. Mi tiro su in piedi, mi avvicino. È sterco di uccello, ormai solidificato che scende dalla tempia. Sarà la stanchezza, sarà che siamo all’ora del crepuscolo e mi viene da considerare che la vita, comunque, è una storia che finisce male. Puoi essere il figlio della gallina bianca o l’ultimo dei mohicani, ma l’ultimo atto ha il colore della tragedia. In mezzo c’è il gioco della vita.
Quando arriva la sera e la giornata pare ormai passata, per i parchi e le strade si diffonde la musica. Si spande dai locali, dai ristoranti in festa e si sovrappone senza limiti e confini. È un intreccio di ritmi balcanici, rock con abbondanza di ottoni. Una cadenza mutevole che passa rapida da ventate di energia ad un senso nostalgico che Bregovic ha fatto conoscere al mondo.
A Podgorica il giorno inizia pigramente. Questa città e anche le strade principali soprattutto nei giorni festivi rimangono semivuote. A metà mattinata andiamo alla stazione dei treni per raggiungere la costa adriatica. Se la capitale è discretamente sorniona, non si può dire altrettanto della sua vecchia stazione ferroviaria. Qui la biglietteria e le banchine pullulano di una moltitudine che va a Sutomore, la prima fermata utile per fare un bagno in mare. Una quarantina di minuti per liberarsi dell’arsura cittadina. Tutti stiamo ad attendere il treno che arriva da Belgrado ed ha come destinazione finale la città di Bar o Antivari (cioè, di fronte alla città italiana di Bari). Questa è la città costiera più importante sia per gli scambi commerciali sia per i traghetti che portano i visitatori dall’Italia. L’afflusso di navi e merci non la rende particolarmente adatta a soggiornare sulle spiagge e coste limitrofe poiché l’acqua non è particolarmente limpida.
Lago Skadar
Nella stagione estiva i treni che giungono dalla capitale serba sono pieni di turisti e, non c’è da stupirsene più di tanto poiché la Serbia non ha sbocchi sul mare ed in fondo questa è l’unica Nazione confinante “amica”. Ciò comporta che la salita sul treno e l’accaparramento di un posto a sedere richieda un certo impegno, inoltre i locali sono piuttosto restii a concedere i loro spazi ai forestieri per cui si trovano sedili vuoti e gente in piedi. Mi rendo conto che quattro viaggi in treno da queste parti non fanno una statistica e tantomeno si possa tracciare una gaussiana; tuttavia, la conflittualità dei locali per un posto a sedere, qui è tangibile. Per risolvere questo piccolo problema è opportuno tenere conto di due costanti. La prima è che, se uno ha buone spalle è meglio che le usi e la seconda è essere fiduciosi nelle parole del Poeta: “Non portar basto”. Per esempio. Quella mattina, una volta riusciti ad entrare sul vagone e aperto uno scompartimento vedo che 5 posti sono occupati mentre sul sesto c’è un piccolo trolley, e chiedo se è libero. Una tipa sui 30 anni, con un viso tondo come la luna e un’espressione ironica guardando la mamma cerca di farmi capire che evidentemente non lo è. Ecco, in più di un’occasione la logica è questa, gente in piedi nel corridoio e posti liberi a sedere. Comunque, risolvo rapidamente la questione della collocazione del trolley non mi resta altro che godermi il paesaggio. I monti attorno, non particolarmente alti, e la scarsa quantità di costruzioni danno un senso di selvatica solitudine. Dopo 25 minuti di viaggio si giunge al lago di Skadar. La parte più suggestiva è proprio questa a nord, cioè la sponda montenegrina, mentre sotto, sulla sponda albanese i colori diventano più anonimi. Vranjina e Virpazar sono le due stazioni adatte per scendere dal treno accolti da un’ umida e fresca vegetazione che fa a pugni con l’afa di giugno ed immergersi in un panorama bucolico. In questa vallata ricca di diversi tipi di vegetazione e di fauna selvatica, la superficie dal lago riflette serenità e le ninfee che fluttuano sull’acqua richiamano alla mente le tele di Monet.
Budva
Budva o Budua è una cittadina costiera di 15000 abitanti che nei mesi estivi lievita fino a superare i 40000 dimoranti. Gli ospiti nei mesi caldi sono per la maggior parte serbi e russi in cerca di un bagno in mare. Le viuzze della città vecchia contornate dai bastioni del 1400, che ricordano il passato commerciale di quando questa città era dominata dalla Serenissima, ora sono zeppe di turisti che sciamano tra ristoranti e negozi. Prima di entrare dall’ingresso principale della Città Vecchia di Budva, sulla destra, poco evidenti, ci sono i resti di una necropoli romana. Un ragazzo manco se ne accorge e quasi cade su ciò che resta di una antica tomba. E, per il resto la città è un i agglomerato di palazzi a fianco di palazzi e cantieri per nuovi alberghi che si pressano tra il mare e la montagna e che concedono il minimo sindacale alla spiaggia. Nel XV secolo i monaci ortodossi avevano eretto il loro eremo lontano dal centro abitato, più in là, sui primi pendii dell’altura, lontano dalla vanità del mondo. Basta guardarsi intorno per constatare che ormai le lusinghe mondane sono arrivate alle porte dell’abbazia e tutto ormai è in mano alla sola resistenza dei religiosi.
Parasailing
Il litorale a Budva è un susseguirsi di spiagge, alcune sabbiose, altre sassose alternate a scogli rocciosi perforati da antri. La spiaggia più accessibile dal centro città è lunga un chilometro e mezzo. I tratti di spiaggia pubblica è meglio evitarli per l’incuria e la sporcizia oltre che la gente del posto non è molto amante dei forestieri. Sul chilometro e mezzo della spiaggia cittadina si pratica il parasailing. Qui è un continuo volteggiare sulle teste dei natanti e ogni 10, 15minuti il passeggero lascia il posto ad altri e il loop continua. Mi viene da pensare che il video comparso un mese prima nei telegiornali e sui social della morte, qui a Budva, della influencer che presa da un attacco di panico si è tolta l’imbragatura lasciandosi andare, abbia avuto un notevole riscontro pubblicitario sulle attività di questa zona.
Senza aspettative e mancanza di sforzo
La differenza tra questi luoghi balneari e per esempio alcune coste nostrane o il sud della Spagna è la limitata interazione tra le persone. Anche se in giugno tutti gli ombrelloni sono occupati e la distanza è al minimo ragionevole, la maggior parte se ne sta in silenzio sul proprio lettino, senza aspettative oltre a quella di abbronzarsi, mentre una musica lamentosa si diffonde per la riva. Questa gente mi dà una sensazione di semplicità e mancanza di sforzo nel cercare di essere all’altezza di qualche modello immaginario che si è posto. Comunque, non si vedono bambini che giocano con la sabbia, oppure amicizie che si creano tra le persone. Tutto è abbastanza compassato ed in ordine. Più che altro manca il momento ludico, ci si gira e rigira tra il lettino dell’ombrellone, il bagno in mare e gli aperitivi nei bei bar ristoranti che danno sulla spiaggia.
L’antico monastero ortodosso Podmaine
Sulla collina che domina Budva si trova l’antico monastero ortodosso Podmaine. La chiesa fu edificata nel XV secolo, mentre la struttura circostante nel 1700. Questo è il posto adatto per fuggire dal caos cittadino. Nella mia permanenza a Budva all’ora del tramonto era la meta preferita. E, mentre nella città sottostante i ristoranti cominciano a fare incetta di turisti affamati, le vetture vagabondano alla ricerca di un parcheggio improbabile, qui si entra in una dimensione più metafisica. Alcuni fedeli che vagano tra il cortile, la fontanella e poi entrano nella chiesetta. Ad osservare questi fedeli ortodossi mi colpisce la velocità con cui per 3 volte di fila si fanno il segno della croce. Prima quando baciano i libri sacri su un piccolo altare, poi si avvicinano ad una immagine sul muro, 3 segni della croce e bacio, poi all’uscita 3 segni della croce e baciano anche lo stipite della porta. Una trentina di monaci gironzolano a piccoli gruppi e conversano nella quiete del crepuscolo, il priore raggiunto nel suo orto da una fedele. È un’immagine statica, li guardo come in una fotografia, poi compare un giovane monaco alto e dinoccolato con un limitato codino. Va e viene tra la chiesa e il chiostro, fa pulizie, sposta oggetti. Sempre lui, con i suoi lavori a turbare la staticità dell’immagine. Questo era il leitmotiv rassicurante che mi attendeva al crepuscolo.
Budua ha una piccola appendice, una piccola perla sul mare, è Sveti Stefan. Questa minuscola penisola da piccolo villaggio di pescatori è diventata un complesso turistico collegato alla terraferma da una lingua di terra.
La grotta di Lipa cave
La grotta di Lipa è uno dei monumenti rupestri più grandi del Montenegro ed è l’unico attualmente accessibile ai visitatori nel periodo che va dal 1° aprile al primo dicembre. Il punto di ritrovo è a 4 chilometri da Cetinje dove c’è la biglietteria e un bar con parcheggio. La durata del tour è di 60 minuti e il costo del biglietto è di 16 euro. Si viene quindi trasportati con un trenino fino all’ingresso. Bisogna tenere conto che la temperatura interna è tra gli 8 e i 12 gradi quindi, in giugno, l’escursione termica con l’esterno (35 gradi) è notevole e occorre essere previdenti portandosi capi di abbigliamento pesante. Accompagnati da una guida esperta e molto professionale si entra da un corridoio molto ventoso, e si procede per 300 metri lungo un sentiero fino alla Sala Njegoš. Qui comincia la grotta vera e propria si attraversano gallerie e sale tra stalagmiti, stalattiti e rocce di ogni forma e colore modellate nel corso dei millenni dall’acqua in quello che pare un santuario che la natura ha creato in onore di stessa.
Cetinje
Cetinje è una piccola città alle pendici orientali del monte Lovćen. È l’ex capitale reale del Montenegro ed è sede della residenza ufficiale del presidente del Montenegro. Nel 1941, con l’occupazione italiana del Montenegro, Cetinje venne conquistata dalle truppe italiane e subito dopo proclamata capitale del Regno del Montenegro, stato fantoccio dell’Italia fascista. Del resto durante l’occupazione non sarebbe stato possibile designare una capitale più al centro del paese, considerata la riottosità della popolazione verso quel regno del tutto dipendente dall’Italia. I tumulti, le rivolte dei locali toglievano ogni certezza alla carta geografica, evidente appendice italiana. Nel novembre 1944 fu liberata dai partigiani titini.Una delle attrazioni principali è la chiesa di Vlaška. Costruita nel 1450, il suo recinto è fatto di canne di fucili nemici catturati.
Paese di monasteri
Il Montenegro è un Paese di monasteri, e quello di Ostrog è quello più conosciuto. La posizione abbarbicata sulla montagna, aggrappato alla parete rocciosa sono un richiamo e una promessa probabilmente eccessiva rispetto a ciò che si trova all’interno. Dal punto di vista storico è quello di Cetinje ad avere notevole rilevanza nella regione con un aspetto imponente e un po’ marziale. Sede della metropolia del Montenegro, fu eretto nel 1484, in parte andò distrutto dai soliti ottomani e fu ricostruito nel XVIII secolo. Sono visitabili alcune cappelle ampiamente decorate, in una di queste (lato destro del cortile) è esposta la reliquia della mano destra di San Giovanni Battista, cioè la mano che battezzò Gesù. È presente anche una piccola parte della Croce. Certo, pensare che per duemila anni generazioni e generazioni si sono tramandate di mano in mano queste reliquie, impone una fiducia illimitata negli esseri umani.
Quanto costano i beni e servizi
Entrare nei supermercati in Montenegro e curiosare tra gli scaffali fa arrivare ad una conclusione univoca: i prezzi sono cari. Certo, c’è diversità tra Podgorica e la costa adriatica intasata da turisti. La mia considerazione non riguarda il negozietto per i turisti, ma i supermercati e i centri commerciali dove la gente del luogo fa spesa. Prima di tutto occorre considerare che lo stipendio medio di un operaio è di 600 euro e, per aggiungere un altro esempio, la retribuzione di un insegnante è di 950 – 1000 euro al mese. La maggior parte dei prodotti sugli scaffali è importata dalla vicina Serbia e dall’Italia e pare proprio che le aziende di trasformazione qui siano molto poche. Colpisce che andando da Podgorica verso la costa è costante la presenza di ulivi. Addirittura, a testimoniare la vocazione di questa terra per questo albero da frutto in diversi luoghi ce ne sono di antichissimi (ex: Budva, Bar) e quando Gesù era un bambino che giocava col figlio dello scriba Anna alcuni alberi avevano già 200 anelli nel loro tronco. Tutto questo per dire che, malgrado la tradizione e la quantità di materia prima, l’olio extravergine è di importazione e quello di minor qualità viene a costare 13 euro quando in Italia lo trovi a 8,5. Lo stesso dicasi per la frutta e verdura. L’unico tipo di vino da tavola di produzione locale è venduto a 4 euro sulla costa e 3 e 70 nella capitale. Fanno eccezione le sigarette (circa 3e 40) e la benzina costa 30 centesimi in meno che in Italia. Certo che considerando gli stipendi viene da pensare che le tavole dei podgoricani dovrebbero essere improntate ad un essenziale minimalismo. Naturalmente in questa semplicistica analisi trascuro la “corporazione “dei taxisti che ignorando il tassametro, per un chilometro ti chiedono 10 euro.
Il futuro non è evitabile
Considerando il passato fatto di invasioni e condizionamenti mi pare giustificabile una naturale diffidenza e avversione verso chi sconfina nei loro spazi, e questa maniera primitiva di difendersi per il forestiero ha il senso della prevaricazione. Ma la giostra del mondo gira e il futuro non è evitabile. Il futuro prossimo potrebbe essere soddisfare le richieste degli Emirati Arabi di poter edificare a Velika Plaža di Ulcinj. Si tratta di 11 milioni di metri quadrati con destinazione a 10 hotel sette stelle, porti turistici, parco acquatico tre complessi residenziali. Ovviamente questo provoca disappunto e proteste da parte dei cittadini e pur essendo giù votato in parlamento è stato bloccato. Si vedrà in futuro. Anche i commissari UE per l’integrazione hanno sollevato dubbi su questo accordo, per il timore di potenziali discriminazioni nei confronti delle aziende montenegrine. In parole povere l’Unione osteggia questa iniziativa perché l’accordo va contro i suoi valori anche se il Montenegro non è ancora UE. Valori impregnati di una cultura e una morale, che senza cercare molto indietro, tanto bene hanno fatto e fanno alla Grecia.