Aprile 30, 2025
BELGRADO - Tramonto sul fiume Sava

 

C’è sempre una certa ansia prima della partenza in aereo, Del resto andare in luoghi a me sconosciuti è un piacere che si riduce a due, tre volte all’anno. Anche se non mi è mai capitato, il timore che l’aereo non parta, che il volo per qualche oscuro accidente venga rimandato è sempre lì presente a far capolino. Ma, arrivati al gate, anche se ancora chiuso, si nota che l’aereo dai colori magenta è lì pronto e una miriade di persone è ad attendere l’imbarco e ci si sente già rassicurati. Poi quando ormai accomodati un po’ stretti a dire il vero, i motori vanno in sforzo, il carrello rulla sempre più veloce sulla pista e la terra si abbassa, ecco già in quel momento ci si sente un po’ più liberi. Si guarda dal finestrino le luci che diventano sempre più flebili ed allora si estrae dallo zaino la settimana enigmistica, si va alla pagina parole crociate crittografate e qui inizia la sfida contro il tempo. Ce la farò a terminare prima di arrivare a Belgrado? Si, perché la capitale serba è la destinazione di questa notte invernale. Il tempo scorre rapido, la meta  è vicina,  il cruciverba è completato nel momento  che il carrello rulla sulla pista.

Notte all’aeroportola foto raffigurante Aeroporto Nikola Tesla

L’aeroporto di Belgrado è abbastanza vuoto, del resto è l’una di notte e manca l’andirivieni solito. Poca gente staziona negli ampi corridoi dalle pareti bianche, non tutte ricoperte, per fortuna da scritte pubblicitarie. Il silenzio domina, mentre poltroncine sono ormai sold out tutte occupate da persone stravaccate che dormono. A questo punto che ci fa il viaggiatore accorto? Si aggrappa al telefonino per vedere dove e a che ora sono gli autobus per la città. Già prima di partire si sono prese le cautele del caso su google, naturalmente,  e qui, vox populi si affermava che un taxi per il centro sarebbe potuto  costare 20 euro, ma in alcuni casi anche 60. In questo caso occorre cautela, opto per prendere l’autobus che, nottetempo, transita  ogni ora mentre quello privato al modico costo di tre euro ogni mezz’ora. Come spesso capita quando ci si trova in difficoltà metto mano al cellulare che mi rassicura: i bus passano ogni ora. Bene, ma l’unico fatto concreto è il messaggio: credito esaurito, e qui si capisce che non c’è il roaming dati. Trovato qualcuno per informazioni, veniamo a sapere (ho scordato di dire che questo viaggio lo faccio insieme a uno dei miei  figli) che di autobus non ce ne sono fino alle cinque. Bene, per non far decrescere l’ottimismo è meglio andare a bersi una birra ed attendere, visto che tra controlli e ricerca sono ormai le tre di notte.

Comunque, il tempo come sempre scorre ed arrivano anche le cinque, e puntuale anche l’autobus. Saliti notiamo che non c’è il lettore per la carta di pagamento, allora chiediamo all’autista di farci il biglietto, considerato che siamo a conoscenza che il sovraprezzo è più che accettabile, ma lui, laconico chiude rapidamente il discorso dicendo in inglese di non farlo, è lo stesso. Non abbiamo l’intenzione di protestare e rapidamente andiamo a sederci.

 Con curiosità guardo fuori dal finestrino e col passare dei minuti la periferia di questa grande città si mostra nelle sue sfaccettature. Poche luci subito, qualche casa tirata su in maniera approssimativa, palazzine basse, poi dopo mezz’ora si cominciano a scorgere case più borghesi, ma è la grande quantità di intersezioni stradali, palazzi ottocenteschi che ci fanno capire che siamo arrivati. La sensazione mentre scendo dall’autobus è quella di una città variegata interessante e piacevole.

Abbiamo prenotato un mini appartamento in via Milice a circa trecento metri dal capolinea e in poco tempo siamo davanti alla palazzina di 5 o 6 piani. L’androne presenta un passato dignitoso con stucchi ormai deteriorati e immagino che tra la fine del ‘800 e il ‘900  doveva rappresentare uno status symbol per chi ci viveva. Ora è messo un po’ male, le cassette della posta deteriorate, il pavimento ed i gradini delle scale messi a dura prova dall’andirivieni di 150 anni. Aperta la porta dell’appartamento si presenta un luogo completamente diverso, pareti e mobili ben tenuti, piano cottura ad induzione, luci ovunque, richiami new age qua e là. C’è da essere soddisfatti.

La foto raffigurante BELGRADO - Tramonto sul fiume Sava

 

Parco Kalemegdanla foto raffigurante Fortezza di Belgrado Kalemegdan

Una delle mete principali che anche il viaggiatore meno ortodosso non trascura è il parco Kalemegdan. Lo si trova su una piccola collina e fa da contorno con viali ordinati alla fortezza là dove il fiume Sava va ad incontrare il Danubio. Quest’opera fortificata ha una lunga storia di distruzioni e ricostruzioni dai romani, ai bizantini, turchi, austriaci e nelle mura e nei bastioni ognuna ha lasciato una traccia. Di rilievo si possono vedere il pozzo romano, la torre e la porta dell’orologio e la statua del Vincitore eretta nel ventesimo secolo a ricordo della vittoria contro l’impero austro ungarico. Sono quasi le 4 del pomeriggio e qui a Belgrado in dicembre è l’ora del tramonto che offre un vero spettacolo  anche a chi il romanticismo l’ha perso strada facendo. La vista va verso il Sava mentre più lontano un bagliore va lentamente a spegnersi giocando a nascondino dietro i palazzi che si vedono all’orizzonte.. Trascuriamo di netto il museo della guerra che ci compare su un fianco con carrarmati ed artiglieria varia e ritorniamo alle vie del centro.

Museo Tesla

Mi ha sempre affascinato Tesla , questo uomo grande come il suo ingegno e la sua solitudine. E’ opportuno sapere che questo scienziato nato da genitori serbi nell’attuale Croazia in realtà a Belgrado c’è stato poco più di un giorno prima di andare  a raggiungere le stelle statunitensi  per poi, più avanti, cadere nelle stalle. Comunque i belgradesi sono fieri di questo genio, che porta all’apoteosi un tratto comune di intelligenza e fantasia di questo popolo. Lo hanno raffigurato sulle monete da 100 dinari, hanno intitolato l’aeroporto, il megaparcheggio a pochi chilometri e gli hanno dedicato anche un museo. Percorriamo poco più di un chilometro da via Mile e ci troviamo di fronte ad una palazzina dove stazionano una ventina di turisti.La foto raffigurante Nikola Tesla nel Museo a lui dedicato Il rito della visita al museo prevede una entrata ogni mezz’ora di un numero limitato di persone ed in effetti è una scelta opportuna. Il museo è piccolo con poche stanze dove ci si accalca attorno alla guida che rapidamente parla in inglese. Nella prima stanza ci sono oggetti personali dello scienziato, il vestito da cerimonia, borse ed accessori e poi una statua di lui, seduto, pensoso pensante. Nelle camere adiacenti si possono vedere motori e trasformatori di energia da lui realizzati, un modellino di progetto di come ricavare energia dalle cascate del Niagara. Non ci capisco molto, ma mi rende contento essere qui a dare una presenza a questa intelligenza così anticonvenzionale e spesso dimenticata. Per fortuna Elon Musk si è ricordato di lui e la foto raffigurante una scarica da 20000 Volt emanata da una bobina (Tesla coil)ha reso noto questo nome a tal punto che a sentire Tesla si pensa solo alla macchina. Comunque si chiamava Nikola.  Prima di uscire tanto per allontanare quel senso di passività tipico dei musei mi avvicino alla guida e chiedo di provare l’ebbrezza di sentire una scarica da 20000 Volt emanata da una bobina (Tesla coil) di cui lui ha dato una dimostrazione. L’obbiettivo è dimostrare lo “skin effect” cioè che una potente scarica a corrente alterna ed a elevata frequenza dell’ordine dei kHz o MHz rimane sulla superficie (in questo caso la pelle) senza attraversarla. Lui, disponibile, riaccende il motorino, io metto il palmo della mano e, opplà che la scarica arriva puntuale. 

Biglietti sul bus ?

A questo punto bisogna sottolineare che Belgrado è una città molto estesa e, per la maggior parte con vie larghe e ben disposte, ma proprio per la sua vastità, anche il viaggiatore più resistente ha la necessità di prendere i mezzi pubblici. La metropolitana non c’è, ma la rete di tram e bus è efficiente e puntuale (almeno di giorno) ma per utilizzare questi mezzi occorre un biglietto che può essere cartaceo oppure usare l’app del cellulare. Se il viaggiatore, seppur esperto, scarica l’app dei trasporti belgradesi scritti in serbo, molto probabilmente si troverà a versare 8 euro (e fin qui l’app funziona bene) ma poi si incepperà e non andrà più avanti rendendo impossibile terminare la procedura. Allora, in questi casi ci si rivolge ai famosi chioschi, che sono disseminati per la città. Sono queste, piccole edicole che vendono un po’ di tutto: bibite, snack, souvenir, etc. Chiediamo 2 biglietti e la tipa dietro alla finestrella in un inglese un po’ stentato, ci dice che non li vende. Chiediamo dove possiamo trovarli e lei ci risponde in serbo. Probabilmente coglie una espressione di perplessità e insicurezza e quindi cerca di spiegare che non controllano i biglietti. Pur essendo obbligati gli autisti non li fanno e i due chioschi dove abbiamo cercato non li avevano. A quanto pare basta salire, sedersi se c’è un posto libero e quando si è arrivati al punto desiderato scendere. E’ facile, anche se mi prende un dubbio: “ma qui non ci sono i controllori?” Il dubbio rimarrà tale anche se prima del rientro avrò una risposta, ma non è questo il momento.

Ulica Knez Mihailova

Le via principale Ulica Knez Mihailova è una zona pedonale  piena di negozi, caffè e bar con edifici fine ‘800. E’ ben illuminata da addobbi e luminarie per il Natale messe più che altro in funzione dei turisti. Si, perché qui la maggior parte degli abitanti è di religione cattolica ortodossa e il Natale lo festeggeranno più avanti. A beneficio dei visitatori c’è un gruppo di suonatori addobbati con costumi da babbo Natale che con cinque tra trombe e tromboni e due tamburi si fanno ben sentire per tutte le vie del centro. Niente astri del ciel e Betlemme, ma qui si sforna una prepotente musica balcanica degna delle migliori colonne sonore dei film di Kusturica. L’ampio centro di questa metropoli è costellato da una quantità discretamente elevata di barboni. Sono un po’ ovunque, dormono  o se ne stanno seduti sui marciapiedi su una lunghezza d’onda non facilmente codificabile, probabilmente l’unica che ho visto attiva era una anziana  che semicoricata sul marciapiede alla luce notturna del neon di un negozio era tutta intenta a fare le parole crociate. Quelli che probabilmente hanno più comfort e soffrono meno le intemperie sono quelli che soggiornano nella galleria cyber underground. Una galleria semibuia di quattrocento metri circa, quasi deserta che si snoda tra negozi che le ragnatele mostrano chiusi da tempo, e qua e là si vede una luce provenire dall’interno con gente che gioca con costosi computer. Ed è qui, forse il posto ideale per quelli che vengono chiamati “i senzatetto” e per conferma in questa semioscurità inciampo in un barbone dormiente. Ci sono persone che rispondono alla povertà economica in maniera più attiva. Una signora, infatti, ha messo in una via del centro una vecchia bilancia pesapersone (quelle utilizzate nelle farmacie) e ci si poteva pesare alla modica cifra di 50 dinari.  Ho notato che questo tasso elevato di barboni (rispettati dai passanti e dalla polizia molto di più che in alcuni paesi dell’est Europa) è soprattutto prerogativa del centro , mentre nelle periferie sono pressoché inesistenti. Lì le famigliole conducono una vita tranquilla seguendo i loro binari precostituiti e forse sono meno inclini a far cadere lo spillatico. Qui c’è più povertà rispetto ad altri paesi occidentali, lo stipendio medio è la metà di quello che si percepisce in Italia, ma i prezzi del cibo e dell’abbigliamento in genere è mediamente solo del 10 per cento in meno di quello che si percepisce in Italia. Si può constatare comunque che dopo i bombardamenti di 20 anni fa la città e i suoi abitanti è riuscita a risollevarsi bene.

Tempio ortodosso di San Sava

Anche per chi capita accidentalmente a Belgrado senza avere consultato mappe o guide è obbligato a notare una enorme costruzione sormontata da cupole che dopo il tramonto emana una luce visibile da tanti punti della città. E’ questo il tempio di San Sava, una delle chiese ortodosse più grandi al mondo e il principale punto di riferimento dei fedeli ortodossi balcanici. Le mura esterne sono in travertino bianco  che riflettono molto bene la luce dell’ambiente attorno e l’altezza dell’edificio di 70 metri posti su un altopiano lo rendono visibile in tutti i punti della città. Il tempio fu progettato nel 1895 dopo la liberazione dal dominio turco. Fu scelta la collina di Vracaz perché è qui che i turchi alla fine del XVI secolo bruciarono le reliquie del santo, invidiosi dei continui pellegrinaggi di fedeli sulla sua tomba. La distruzione dei resti mortali di Sava ha aumentato nei secoli esponenzialmente il suo spirito. Pur non essendo ancora completamente terminato a causa dei travagli che la Serbia ha dovuto affrontare nel XX secolo, è completamente agibile e riesce a contenere 10.000 fedeli. La foto raffigurante il tempio di San Sava a Belgrado , una delle chiese ortodosse più grandi al mondoCi si muove con naturale rispetto in questo enorme spazio. La magnificenza di questo tempio pare trascendere dalle pareti dorate  e dai motivi floreali che contornano mosaici e dipinti di santi da un’espressione benevolmente austera che ha più valore di mille sermoni. E, benchè la cripta con il tesoro di San Sava non sia attualmente praticabile si esce con la sensazione che lo spirito si è rigenerato.

Zemun

La prossima destinazione è Zemun. Questa era una città che fu, nei secoli scorsi, avamposto serbo contro l’avanzata dei turchi, ed attualmente è la più vasta municipalità di Belgrado. L’obiettivo è di andare sula collina di Gardos, dove alla fine del XIX secolo è stata edificata la torre del Millennio. La collina non è molto alta. Poco più di un cavalcavia, e la torre è alta 36 metri. Acquistato il biglietto saliamo una scala a chiocciola e la vista che offre il balcone tutto attorno alla torre è splendida; malgrado la giornata un po’ tiepida che sulla distanza alza una lieve foschia, si può vedere Belgrado, il Sava e una ricca vegetazione di boschi dell’isola della guerra. Mentre indugio su questo panorama penso che sia il luogo adatto per fare una foto insieme al mio figliolo. Poco distante c’è un signore intento a rimirare anche lui l’infinito. Chiediamo in inglese se ci può scattare una foto e lui risponde con entusiasmo. Poi azzarda a parlare in italiano e ci rendiamo conto che l’inglese qui non serve. Alla fine del XIX secolo è stata edificata la torre del MillennioSi presenta, è Edoardo di Napoli, lui prende il nostro cellulare per immortalare il momento mentre noi ci mettiamo in posizione. Abbiamo scelto di avere alle spalle il Sava con il sole di fronte che ci illumina il viso. Lui però mostra qualche perplessità e ci invita a spostarci, così alle spalle potremo avere due grattacieli. Obietto che essendo contro sole verrebbero due sagome nere. Lui però non è d’accordo, perché nella posizione scelta da noi non sarebbe visualizzata una parte della città. Si, ma se viene tutta scura che senso ha fare la foto? Comunque, per farla breve riusciamo a convincerlo e riusciamo a fare la foto come volevamo noi. È simpatico e ci fermiamo un poco a chiacchierare, si capisce subito che è un buon viaggiatore. Inizia tra noi, quindi, un palleggio di nomi e luoghi, lui parte con Riga, replico Helsinki, e poi viaggi simili , Praga, Varsavia , Cracovia, quartiere ebraico, poi seguono altre città dell’est, allora provo a cambiare e mi sposto in Spagna, la penisola iberica mi rende discretamente competitivo, ma anche lui non molla. Ma dopo un lungo palleggio da fare impallidire Djokovic, lui arriva a Malaga, ed è qui che lui ha avuto una fidanzata per 2 anni. Questo della Malagueña è un vero smash, game, set, incontro. Ha vinto lui. Comunque, la fame mi attanaglia lo stomaco e con dispiacere saluto questo simpatico napoletano, che, come dice lui, viaggia da solo “senza lacci e lacciuoli”.

Il cibo

Ritornati verso il centro, camminiamo verso via Karadzica per andare a mangiare è qui, infatti, il ristorante che abbiamo eletto come punto di riferimento per il cibo. Prima di tutto è opportuno dire che all’ingresso c’è il listino prezzi, fatto non molto frequente a Belgrado. Il locale è capiente, ben tenuto, con camerieri ineccepibili e un menù tipicamente serbo dove le carni la fanno da padrone insieme a piatti di pesce, ovviamente di fiume. In genere ordiniamo una zuppa, poi i piatti locali, tra questi  i cevapcici, che sono un specie di salamini grigliati con all’interno vari tipi di carne. Malgrado la grigliatura sono molto soffici e vengono serviti con patate e cipolle crude. Un altro piatto degno di nota è il pljeskavica una enorme cotoletta composta da un insieme di carni tritate e messe insieme al formaggio contornata sempre da patate e le immancabili cipolle crude. Il costo di questi cibi varia dai 1000 ai 1300 dinari serbi. Per il dolce si sta sul classico baklava, questa specialità che forse è una delle poche note piacevoli lasciate dal dominio turco. Malgrado i cartelli di divieto del fumo, nel locale si fuma serenamente come in altri luoghi pubblici del resto, e questo da un gradevole senso di convivialità dal sapore antico.

Il centro storico

La città vecchia in pratica si estende dal lussuoso hotel Moskva, fino al parco Kalemegdan, e l’ampio viale Ulica Knez Mihailova ne è il principale collegamento. In questa zona tutti brand internazionali sono presenti, rendendo in pratica la via molto simile ai centri di tante altre capitali europee, ma se si alza lo sguardo oltre al piano terreno si percepisce l’unicità di questo luogo osservando le architetture ottocentesche che appartenevano all’aristocrazia belgradese, prima che venissero requisiti dal governo negli anni’50. Passeggiando comunque in questo centro colpisce la notevole presenza di marchi italiani, ma si può notare che genericamente vengono usati nomi italici riguardo prodotti che non lo sono, sia nell’abbigliamento che nel cibo. Segno questo che la nostra piccola ma popolosa nazione che si fatica a vedere su un mappamondo ha ancora un appeal considerevole. E proprio in una di queste vie, passando davanti ad una vetrina vediamo in vendita (uno dei rari casi dove era visibile il prezzo) maglioni a prezzi decisamente bassi ed inaspettati (800 – 1000 dinari), molto poco considerando che in genere i prezzi dell’abbigliamento sono simili a quelli che si vedono in Italia. L’ingresso è libero ed entriamo ma ben presto ci rendiamo conto che sono prodotti di seconda mano; infatti, passando proprio sotto la vetrina non avevo notato la scritta second hand. Camicie, maglioni, pantaloni discretamente conservati, ma comunque usati e sopra ogni scansia compare un rettangolo con il nome della ditta esportatrice e anche qui, con sorpresa mista a soddisfazione vedo che provengono dall’Italia ed il brand è la ditta Esposito. Poi nottetempo rientrato nell’appartamento, oltre alle previsioni del tempo, mentre cerco sul tablet questo marchio sconosciuto guardo vecchi video di una nota trasmissione televisiva che ne parlava. A quanto pare si tratta di una ditta che ha un accordo con la Caritas per gestire i cassonetti che sono disseminati per la penisola per la raccolta di indumenti usati. L’imprenditore nell’intervista sottolinea che, fatta una cernita , gli indumenti migliori e meno utilizzati vengono igienizzati e poi venduti, e considero che in effetti sono ancora in discrete condizioni.La foto raffigurante il fiume Sava

Skadarlija

E’ sera quando decidiamo di andare a Skadarlija, un celebre quartiere che nell’ottocento era abitato da zingari, prostitute, insomma il quartiere del malaffare per poi diventare nel ‘900 il quartiere degli artisti ed intellettuali. Parte integrante della municipalità di Stari Grad, si raggiunge facilmente da piazza della Repubblica e compaiono davanti a noi un paio di vie con luminarie natalizie ed in entrambi i lati ci sono ristoranti tipici che ricordando anche coi loro nomi il passato bohémien del quartiere attirano una notevole quantità di turisti. Certo, probabilmente la stagione invernale non aiuta a conoscere bene queste strade e l’andirivieni lo si nota più che altro per le motivazioni gastronomiche dei turisti, quasi una ironia rispetto a come dovevano vivere questi artisti di primo novecento. Alla ricerca di tracce autentiche dello spirito passato proviamo a vagare per le vie laterali, e si scorgono 3 o 4 vicoli bui fatti da cortili, anfratti, scale esterne tra i bidoni dell’immondizia, auto vetuste dimenticate da tempo. Qua e là nel buio si staglia qualche luce e c’è un moderato andirivieni, una coppia che arriva quasi inciampando sul terreno sconnesso sosta davanti ad una vecchio ritrovo, parlano e poi se ne ritornano indietro. Una scala esterna che porta ad un uscio scarsamente illuminato accoglie un paio di persone e poco dopo tre ragazze salgono, entrano ma dopo pochi secondi se ne escono. Forse non è il posto per loro, o loro non sono per quel posto.

Il ritorno

E’ pomeriggio, e ormai come se non ci fosse un futuro, su una panchina del parco e aspettiamo che giunga l’ora per andare all’aeroporto. Mi viene in mente “Quando qualcosa finisce” un racconto breve di Hemingway, in ambiti diversi ma è una sensazione che nella vita di ognuno di noi capita frequentemente. Per distogliermi dalla tristezza cerco di guardare oltre a me la gente che passa nel parco e la curiosità si posa su una signora abbastanza distinta che passeggia. Butta la sigaretta, si avvicina ad un cestino dei rifiuti, guarda dentro e poi si mette a rovistare, probabilmente cerca qualcosa, ma poi fa la stessa operazione in un altro contenitore ed in una decina di minuti li fa passare tutti. Bighelloniamo un po’ per la città e verso sera andiamo al capolinea del 72 che in un’oretta ci porterà all’aeroporto. Al chiosco vicino chiediamo due biglietti, ma non se ne parla, vabbè pagheremo il sovraprezzo sul bus. Una volta saliti chiediamo all’autista di fare due biglietti, ma niente, fa capire che non c’è la necessità. Perplesso, visto che il viaggio durerà un’ora, penso che evidentemente qui abbiano tutti l’abbonamento. Mi siedo e guardo il ponte Branco sul Sava e poi il paesaggio serale che dal centro degrada verso la periferia. Saranno passati dieci minuti che al mio fianco, in piedi, vedo comparire due donne con divisa color indaco con una scritta in serbo e, alla cintura hanno uno sfollagente. È evidente che sono i controllori, infatti si soffermano qua e là tra i passeggeri e la più giovane di una età sui 35 – 40 anni si rivolge a noi, prima in serbo poi in inglese chiedendoci gli ormai famosi biglietti. Mio figlio risponde la verità, cioè che non li abbiamo perché l’autista non li ha voluti fare. Lei lo guarda, riflette seria per una decina di secondi, poi, quasi con dolcezza risponde: “si, però dovresti farli” e se ne va verso gli altri passeggeri. Allora mio figlio che l’inglese lo conosce meglio di me torna dall’autista con i soldi in mano e questo ostinato replica:” No, no, aspetta, aspetta”. La realtà dà ragione a lui, perché, finiti i controlli dopo qualche minuto, le due tipe scendono e con molta minore ansia di quando sono partito vado all’aeroporto per tornare. Il resto è noia

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